Una donna troppo moderna per i suoi tempi così la famiglia e la società hanno cercato di cancellarla dalla storia dell’arte.
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Qui la prima puntata (in calce le successive):
Faccio l’infermiera a Montfavet, sotto Avignone. Dove lavoro, le pazienti sono in costante pericolo, possono compiere da un momento all’altro dei gesti estremi. Le famiglie e lo Stato le dimenticano, e gli va bene così. Siamo le custodi dello scheletro nell’armadio. Scrivo questa lettera per afferrare il ricordo di Camille.
“Le famiglie vi ricoverano per due motivi: per vergogna o per diventare più ricche. In ogni caso si devono liberare di voi.”. Eri appena arrivata e io te l’avevo detto subito, con un tono spietato. Devi perdonarmi, ce l’avevo con la speranza che tiene tutte le pazienti in uno stato di pena, in quella costante attesa della firma liberatoria. In troppe uscivate dirette al cimitero des Oubliés (dei dimenticati), senza rivedere la vostra casa.
Camille il sanatorio è l’ombra del potere, qui si nascondono le scelte e le conseguenze dell’arrivismo. Si firmano ricoveri per donne alienate, poiché non conformi alle aspettative sociali, molte vengono internate perché si sono ribellate alle umiliazioni famigliari o alle percosse. Entrate perdendo ogni diritto civile, spesso anche la coscienza di voi stesse.
Le diagnosi potevano essere: stupida e incapace di orientarsi nella vita, attacco di malinconia o maniacale, delirio, alcolizzata.
Pauline con grandi occhi nocciola segnati dall’insonnia. Dopo colazione, il suo unico pasto spontaneo, partiva camminando in punta di piedi dalla porta d’ingresso e contava, a voce alta, otto finestre, infine si buttava nella sedia sotto alla decima. Teneva i piedi vicinissimi, le mani giunte in grembo, ed emetteva un lamento sottile, costante, imperterrito, durava dall’uscita del sole fino a sera. Dovevamo caricarla a forza su una sedia a rotelle per portarla a dormire. Aveva perso il marito per malattia il giorno del loro anniversario. Lui era l’ottavo di dieci figli. Gli altri stavano bene.
Anne, nemmeno maggiorenne, nata insicura. La sua natura la rendeva incapace di lavorare, così i suoi parenti si erano liberati di una bocca da sfamare. Nella cartella clinica lessi la frase (la diceva spesso in casa) che l’aveva rovinata: ‘Io di figli non ne voglio.’.
Camille tu eri in gabbia per salvare la reputazione della famiglia, venivi considerata una libertina. Una buona fama può assicurare una grande carriera e di conseguenza l’agio economico.
“Le famiglie vi ricoverano per due motivi: per vergogna o per diventare più ricche. In ogni caso si devono liberare di voi.”.
Mamma Louise, assieme a tua sorella, avevano dato ordine di tenerti isolata, impedendo agli amici e ai parenti di venirti a trovare. Louise stessa, nel 1920, evitò di smentire la notizia della tua morte. Mandò in ulteriore confusione le persone in cerca di te, di tue notizie.
“Cara mamma, ho tardato molto a scriverti perché faceva talmente freddo che non riuscivo a reggermi in piedi. Non ho potuto scaldarmi in tutto l’inverno, sono gelata fino alle ossa, spezzata in due dal freddo. […] Sei ben crudele a rifiutarmi un asilo a Villeneuve. Non farei scandali come tu credi. Sarei troppo felice di riprendere la vita normale per fare qualunque cosa. […] I manicomi sono fatti apposta per far soffrire, non c’è rimedio, specialmente quando non si vede mai nessuno. […] Non ho fatto quel che ho fatto per finire la mia vita come un numero in una casa di cura, ho meritato qualcosa di diverso.”
“Oltretutto mia sorella si è impossessata della mia eredità e ci tiene molto al fatto che io non esca di prigione!”
Camille Claudel, 1913 (rinchiusa da quattordici anni)
Nel 1925 il Dottor Charpenel, medico dell’Asilo, mi aveva fatto recapitare una lettera dove chiedeva ai tuoi cari di riprenderti a casa. Il Dottor Brunet lo aveva fatto cinque anni prima:
“Non è una paziente pericolosa per se e per gli altri. Tornare in famiglia, come lei stessa chiede, potrebbe solo aiutarla.”
Nessuno rispose ai loro appelli.
Nel 1927 tua madre scrisse:
“Cara figlia, ho di fronte la tua ultima lettera e non mi so dare ragione delle cose terribili che scrivi a tua madre. Lo sa Dio cosa devo sopportare da voi figli! Paul mi bistratta di continuo, perché a suo dire avremmo favorito tua sorella a suo discapito […] Anche tuo padre è rimasto profondamente turbato nell’apprendere la verità sui tuoi rapporti con Rodin, l’ignobile contegno che hai ostentato fingendo davanti a noi.”
Una delle tue risposte:
“I manicomi sono fatti apposta per far soffrire, non c’è rimedio, specialmente quando non si vede mai nessuno. […] Vale quindi la pena di pagare 20 franchi al giorno per questo? È il caso di dire che dovete esser pazzi!”
Camille, lettera alla madre. 1927
Laggiù oltreoceano, negli Stati Uniti, tuo fratello Paul era occupato a gestire il debito francese in qualità di console. Era di fatto complice del misfatto, anche per sua volontà non potevamo recapitarti regali, lettere, far entrare per delle visite gli amici.
“Mio caro Paul, devo nascondermi per scriverti e non so come farò a imbucare questa lettera. Perché, renditi conto, Paul, che tua sorella è in prigione. In prigione e con delle pazze che urlano incessantemente, fanno smorfie, sono incapaci di articolare parole sensate. Ecco il trattamento che da quasi vent’anni s’infligge a un’innocente. Quando la mamma era viva non ho mai smesso di implorarla di togliermi di qui, di mettermi in un altro posto qualsiasi, in un ospedale, in un convento […] Contavo su di te, ma costato con tristezza che continui a farti manovrare da Berthelot e dalla sua cricca. Avevano un’unica urgenza quelli lì: che io lasciassi Parigi per gettarsi sulla mia opera, per farsi delle rendite a poco prezzo. E Rodin dietro di loro […]. Tu, povero ingenuo, sei stato messo nel gioco senza accorgertene. Tu, mia sorella, la mamma, papà. Tutti. E io sono stata trattata come un’appestata. Mi spiavano, mandavano gente a rubare le mie opere; hanno cercato di avvelenarmi. Tu mi dici, Dio ha pietà degli afflitti, dio è buono, ecc. Parliamone del tuo Dio, che lascia marcire un’innocente in fondo a un manicomio!”
Camille Claudel, 1932 (rinchiusa da diciannove anni)
Ogni tanto ti arrivava una busta con del denaro. Anonima. Le donazioni smisero di pervenire alla fine di ottobre del 1917. Rodin era stato sepolto a novembre. A gennaio, dello stesso anno, aveva sposato l’altra donna, la mite Rose Beuret.
La prossima sarà l’ultima. A sabato!
Precedenti puntate (in ordine):
Mi sono affezionato a questa storia. E' così tremendamente triste e, allo stesso tempo, vitale anche se parla di una morte civile.
storia sempre più raccapricciante, ma brava tu a raccontarla come la racconti!