Camille è stata una scultrice dei primi del ‘900, e il modo in cui viveva era considerato osceno. Una donna troppo moderna per i suoi tempi così la famiglia e la società hanno cercato di cancellarla dalla storia dell’arte. Questo feuilleton, attraverso una lettera inventata, racconterà i fatti realmente accaduti alla scultrice francese. Buona lettura.
“C’è sempre qualcosa di assente che mi perseguita.”
Camille
Camille, mi sarebbe tanto piaciuto regalarle dell’argilla. Se la sarebbe goduta, anche senza strumenti. Le ho portato dei giornali, imbucato delle lettere, pagato dei conti ma l’argilla era vita, tutto il resto serviva a non farla rimanere impalata a fissare il muro. Divieti e regole create per instaurare una dittatura della noia, corridoi bianchi di camere e letti in fila a due a due, lo chiamavamo il luogo dei segreti, dove si perde la propria identità per favorire gli interessi degli altri.
Camille ha rincorso l’amore di sua madre, poi si è illusa con Rodin e anche con suo fratello Paul. L’assenza più grande, il vuoto, per lei ha avuto origine nell’equivoco. Credeva di poter fare affidamento sul silenzio. Le sono mancate le attenzioni, i riconoscimenti, e lei pensava di dover semplicemente aspettare. Ha scambiato il silenzio di sua madre con una lunga, infinita, attesa. I suoi familiari avevano deciso, lei invece continuava a credere in loro. Un giorno verranno, così pensava.
Faccio l’infermiera a Montfavet, sotto Avignone. Dove lavoro le pazienti sono in costante pericolo, possono compiere da un momento all’altro dei gesti estremi. Le famiglie, e lo Stato, le dimenticano, e gli va bene così. Siamo le custodi dello scheletro nell’armadio. Il potere delle casate, o del denaro, lascia le chiavi delle celle in mano ai consanguinei. Il parere degli psichiatri vale nulla, lo scettro è nelle mani delle famiglie d’origine.
I capelli continuavano a entrarmi negli occhi. Il vento faceva ondeggiare gli steli che tenevo in mano, le avevo preso un mazzo di immortelle gialli. La fioraia mi aveva detto che erano quelli selvatici. Avevo portato con me due colleghe, dicevano di essere venute per i registri degli archivi. Ma una di loro continuava a tirare fuori il fazzoletto dalla manica.
Il prete manteneva gli occhi fissi sulla fossa, ipnotizzato dalla noia, la sua è stata una litania ostile. Lo detesto.
Appena ha benedetto la tomba, si è voltato di colpo, e come le sue parole, è fuggito via lamentandosi delle foglie impigliate nella tunica. Grazie vento! Dovevi sollevare il grigiore della terra, mischiarlo a quello del cielo fino a portarla verso il sole giallo, acceccante come gli immortelle.
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Camminavo con le colleghe e mi sentivo sempre più debole, il mio fiato se ne andava via, come un prete annoiato dal dolore altrui. Quando sono tornata al manicomio ho dovuto liberare la tua stanza. Due oggetti in croce. In una manciata di minuti le pazienti, a cui li ho dati, li hanno morsi, sbattuti e dimenticati.
Per me, Camille, eri diventata assenza.
Il tuo chiodo fisso erano le mani. Lunghe dita, capaci di affondare senza scampo nell’argilla per darle forma, come se fossero in grado di masticarla. Ti tagliavi ancora le unghie, anche se era vietato fare arte in manicomio.
Il tuo senso del tatto è stato feroce fin da bambina. Ti addentravi nella materia per scolpire, sotto la direzione del maestro Nogent e tuo fratello Paul in posa per un ritratto. Nel pomeriggio correvate, mano nella mano, fra la sabbia di Geyn, poco distante dal castello di Fère. In comune fra voi un mondo di giochi colmo di leggende bretoni sulla stregoneria. Assieme sempre, condividevate anche i progressi nei campi dell’arte, lui voleva diventare uno scrittore.
“Camille è bellissima! Una fronte superba e magnifici occhi blu, di quel raro blu che si incontra solo nei romanzi.”
Paul Claudel
Rincasavate nel tardo pomeriggio. Vostra madre teneva fra le braccia la sorellina Louise. Vi diceva che aveva tanto da fare, di sbrigarvi a prepararvi e via, subito si girava di spalle. Era se impartisse ordini, seccata, a un inserviente distratto, invece si rivolgeva ai suoi figli.
Tuo papà c’era. Comprava carta e inchiostro per Paul e cercava di convincere la moglie, Louise, a iscriverti all’Accademia. Lei reagiva sbattendo la porta. Paul allora ti abbracciava e tu, a tavola, magari gli lasciavi mezza fetta di torta in più.
Quante lettere mi hai fatto imbucare dirette a Paul? Quando si è allontanato? Fu a causa di Rodin?
La seconda puntata qui:
sempre brava, sì. Brava!