Una donna troppo moderna per i suoi tempi così la famiglia, e la società, hanno cercato di cancellarla dalla storia dell’arte.
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Qui la prima puntata:
Faccio l’infermiera a Montfavet, sotto Avignone. Dove lavoro, le pazienti sono in costante pericolo, possono compiere da un momento all’altro dei gesti estremi. Le famiglie e lo Stato le dimenticano, e gli va bene così. Siamo le custodi dello scheletro nell’armadio. Scrivo questa lettera per afferrare il ricordo di Camille.
L’ho portata a casa, senza permesso. L’avevi nascosta bene, cucita dentro il materasso. Una foto di te, quando abitavi con Rodin in Rue de l’Université. Anche Rose Beuret si era trasferita a Parigi? Cosa sapevi di loro due?
Tu e la tua arte. Le mani modellavano un particolare, la punta delle dita spingeva a oltranza, volevi fare emergere dalla materia realtà e visione.
In quanto donna, anche durante il lavoro, eri obbligata a vestirti come dettava la moda dell’ottocento: sopra il busto rendeva rigida la schiena, e sotto la gonna la galera della crinolina, con i suoi cerchi di acciaio e stecche di balena per mantenere la forma a palloncino sul sedere, ti costringeva a piegarti in avanti, tenendo le ginocchia semi tese. Eppure sembri così assorta, indifferente alle costrizioni.
“Si accanisce sulla materia molle triturandola, palpandola, colpendola con gesti bruschi e violenti. Così, i primi giorni. Poi finalmente comincia a modellare l’argilla, a darle forma, non prima di averla posseduta.”
Auguste Rodin
Grazie a Rodin potevi lavorare con il nudo ma le autorità non ti hanno mai dato il permesso di indossare abiti comodi, figurarsi i pantaloni! Era impossibile essere premiata nei Saloni o durante le Esposizioni, e i proprietari degli Atelier sbuffavano quando tentavi di presentargli le opere. Per loro eri una donna, tu lo sapevi e continuavi a scolpire. I soldi per il marmo, per pagare gli assistenti, chi lavorava alla fonderia, i modelli e le modelle per le pose, ti rimaneva ben poco da dare come pegno di garanzia, era una spirale di cerchi di acciaio tenuta stretta dalle stecche di balena.
“Dopo l’esposizione partiremo nel mese di maggio per l’Italia e vi rimarremo almeno sei mesi, e sarà l’inizio di un legame indissolubile dopo il quale M.lle Camille diventerà mia moglie” Auguste Rodin, 12 ottobre 1886
E tu subito lasciasti, dopo le promesse dello scultore, il musicista Debussy.
Se desideri supportare il mio lavoro:
Rodin agguantava la forchetta davanti all’ultima fatica. Era tardissimo. Ogni tanto mollava di scatto il boccone per prendere lo scalpello. Stava zitto. Appoggiava di colpo il piatto sulla prima superficie barcollante, senza curarsene, e mai gli era caduto a terra. Chiuso nel suo universo di sentimenti, ciò che usciva da lui diventava prima movimento inciso nel modellino di creta, per materializzarsi successivamente nel bronzo. Dalla gola di quell’uomo, gli unici suoni emessi erano colpi di tosse. Così ti piaceva descriverlo.
L’odore rustico dei materiali, degli avanzi di cibo, gli occhi semichiusi e cerchiati dalla sabbia della fatica, tutta questa rozza semplicità, tu la respiravi Camille. La sala dove lavoravate era impregnata di gesti, a te bastava distrarti un attimo, e voltarti, per credere di poter avere il controllo totale.
Confondevi la bellezza del momento, con la promessa di un avvenire. In qualche modo bisognava far tacere il pozzo vuoto. E poi era meglio strisciare i piedi per precauzione, saltellare era troppo pericoloso.
Ricordo quella tua scultura come se l’avessi vista ora. Amore e morte danzano in un valzer. Lei aspettava l’abbraccio di sua madre ma ha trovato il conforto di un compagno. Il ritmo della musica cresce, i loro abiti li stringono rivelandoli, come fossero nudi. Lei lascia andare la sua mano nel palmo del primo ballerino e si piegano l’uno contro l’altra. Bisogna essere svelti a inseguire il valzer, le note strisciano via in un batter d’occhio, come i piedi danzanti. Mi hai dato un grande consiglio: bisogna cercare di essere umane nonostante la caducità.
Per i giornali, i tuoi capolavori erano realizzati direttamente da Rodin. O copiati dai suoi disegni. Chiedevi giustizia senza ottenerla.
“Rodin non ignora che molte persone malvagie hanno osato dire che era lui a fare le mie sculture. Perché fate di tutto per accreditare queste calunnie? La prego di pubblicare sul suo giornale la piccola rettifica che le chiedo.”
Camille Claudel, 1896
Mi raccontasti di un modello di Auguste: perdeva la posa, continuava a fissarti mentre scolpivi. Incredulo delle sue stesse sensazioni, preferiva il tuo talento. Rodin ruppe il silenzio:
“Le ho mostrato l’oro ma l’oro che trova è tutto suo.”
Il valzer stava arrivando all’apice del ritmo. Bisognava essere svelti nell’inseguirlo, le note strisciano via con i piedi danzanti.
E dov’erano Paul e Rose Beuret? Tuo fratello era ossessionato da un numero: ventiquattro, la differenza di età fra te e Rodin. Rose invece era titolare di un buon quattro. Tutto questo, lo sapevi bene, stava accovacciato alle tue spalle. Come l’immagine di Rodin in cucina, accanto alla mesta Rose, forse l’aiutava anche a cucire i bottoni?
La terza puntata qui:
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