Energica, vorace, chiassosa ma radiosa e tenace di spirito, Louise Weber era abbondante in tutto, persino nel suo soprannome! La chiamavano la Goulue (la golosa) poiché gli eccessi sono stati parte del suo inimitabile valore di intrattenitrice ma anche delle sue pene nella vita.
Nacque nel 1866, due anni prima della nostra Jane Avril (ne abbiamo raccontato qui: 1° parte e 2° parte), entrambe salirono sullo stesso palco del Moulin Rouge. Se non l’hai letta, la prima parte della biografia di Louise la trovi cliccando qui
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Verso Paris
A sedici anni fuggì a Parigi e alternò il mestiere di lavandaia a quello di ballerina nel locale Moulin de la Galette. Il nome della sala da ballo (raffigurato in un famoso dipinto di Renoir) deriva dalle galette bretonne, una sorta di crêpe con farina di grano saraceno, offerte come consumazione e comprese nel biglietto d’ingresso.
Louise aveva scelto quella strada perché sapeva di essere dotata per la danza. A sei anni aveva partecipato a una rappresentazione per bambini, tenutasi all'Élysée Montmartre sotto il patrocinio di Victor Hugo, e sentiva ancora nelle orecchie i complimenti della contessa Céleste Mogador (un’aristocratica influente nel mondo delle arti). Se al tuo esordio ricevi un simile favore, è un segno del fato.
A diciotto anni andò a convivere con Charles Tazzini, di mestiere traslocatore, e si fece tatuare sul braccio sinistro: “J'aime Charlot pour la vie” (amerò Charlot per tutta la vita), ma la storia d’amore finì e lei coprì la scritta con un altro tatuaggio permanente, un fiore, e per essere sicura di non mostrarlo mai (soprattutto a se stessa per non fare i conti con quel suo lato del carattere impulsivo, eppure energico e vitale) ricorreva all’uso di grandi bracciali per adornare e nascondere.
In quegli anni continuava ad alternare il lavoro come lavandaia alle esibizioni presso il Moulin de la Galette. Salire sul palco per lei equivaleva a una rivincita. Negli ampi svolazzi delle gonne da can can, in quel tripudio di movimenti e pizzi, poteva dimostrare la sua forza interiore, catturare gli ammiratori con mosse e battute goliardiche, soprattutto poteva zittire la voce del suo cuore che insisteva e insisteva a farle sentire il peso continuo di una fame eterna. I sacrifici durante la guerra franco-prussiana, la povertà di una madre fantasma, una donna svuotata dalla tragedia dell’assedio e fuggita con mente e corpo in un luogo lontano dai suoi figli, infine la perdita prematura di suo padre, tutte queste erano state le mosse del destino contro di lei, insieme avevano creato un’irreparabile crepa ma lei riusciva a trasformarla, a ogni ballo, in una risata. E da quella maschera di festa nacque il can can.
Musa per Renoir e Toulouse-Lautrec
I pittori furono i suoi maggiori mentori. Louise posava per Auguste Renoir, a Montmartre, e lui la introdusse in un circolo di modelle dove poté trovare degli ingaggi per delle fotografie. La ballerina non si fece problemi a posare anche per degli scatti di nudo. Lei era così, libera e spontanea.
Henry de Toulouse-Lautrec ne rimase folgorato. Era un’artista che amava l’imperfezione della carne, soleva ritrarre i difetti fisici e la verità cruda di chi si è perso nell’abuso di assenzio. Contrario all’ipocrisia di certa pittura usata per idealizzare la bellezza, rifuggiva la ruffianeria, lui preferiva comunicare i disagi, i limiti della condizione umana. Toulouse aveva il coraggio di mostrare la carne ferita da una vita fra prostituzione, povertà e solitudine. Gli sguardi dei soggetti nei suoi ritratti, quelli rivolti verso il basso, sono capaci di entrarti dentro e così, come spettatore, finisci per giudicare te stesso…
Una personalità come quella di Toulouse-Lautrec non poteva che arricchirsi dall’incontro, avvenuto nel 1891, e l’amicizia con Louise. Un pittore così determinato a dipingere anche quando le sue condizioni di infermità glielo rendevano praticamente impossibile, fu attratto dalla sincerità, dal brio e da quel pizzico di vanità, di chi balla per dimenticare la miseria della vita.
“Fu La Goulue a ispire Lautrec!”
Arletty (attrice francese)
E nacque il can can
Toulouse-Lautrec la persuase a lasciare il Moulin de La Gallette per una nuova sala da ballo: il Moulin Rouge. I proprietari, i fratelli Oller e Charles Zidler, la resero la loro ballerina di punta e la valorizzarono come l’inventrice del can can (nato come variazione del ballo della quadriglia). E Louise divenne la famosa La Goule (La Golosa) poiché durante, e anche quando si trovava in sala prima o dopo le esibizioni, allungava la mano dentro il piatto dei clienti per assaggiare i piatti migliori!
La bellezza femminile, assieme al turbinio delle gonne del can can, specie quando si intravedevano le culotte delle ballerine, erano delle scuse utilizzate da taluni avventori per divenire un po’ troppo audaci, così Louise aveva una mossa tutta sua contro chi osava troppo: con un movimento rapido della punta dei piedi, gli faceva volare via il cappello!
La celebrità del Moulin Rouge arrivò, grazie a lei, fino in Inghilterra e spinse il Principe del Galles, futuro Re, Edoardo VII, a prenotare un tavolo nel locale parigino. La Goulue sapeva come prendersi gioco del potere del destino, che è in grado di dividere ingiustamente gli uomini in classi agiate e in classi povere, appena vide il nobile andò a danzare davanti a lui e chiuse il numero dicendo:
“Hey Galles, si paga lo champagne eh!”
Era il 26 ottobre 1890, fu un giorno di giustizia.
To be continued…
Ecco un’anticipazione della terza e ultima parte della storia:
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Bello
….. e non vedo l‘ora come finisce la storia!!
Brava Giò, ben scritto, fluido ed attira l’interesse.
Vai, che sono curiosa come andrà avanti!! 👏🏼