“Tutto quello che ho fatto, per tutta la mia vita, è stato disobbedire.”
Édith Piaf
Questa settimana, nel feuilleton di The Raven Cat (storie pubblicate in diversi post, a cadenza settimanale), torniamo a Parigi per un’altra ballerina del Moulin Rouge: Louise Weber, l’inventrice del can can.
Nacque nel 1866, due anni prima di Jane Avril (per conoscerla clicca qui: 1° parte e 2° parte), entrambe si esibirono sullo stesso palco e si dice che Toulouse-Lautrec avesse preferito Jane a Louise…
Al posto di Edit Piaf, Louise potrebbe aver detto: “Tutto quello che ho fatto, per tutta la mia vita, è stato essere libera!”
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“Lei sa cos'è, cosa vale, e quando non mangia sa cosa dire dalla bocca. Quando mangia, la volgarità nella parola le si alterna al boccone che entra. Questa sua radiosa brutalità è il suo unico spirito”
Octave Mirbeau (giornalista e critico d’arte del novecento)
Energica, vorace, chiassosa ma radiosa e tenace di spirito, Louise Weber era abbondante in tutto, persino nel suo soprannome! La chiamavano la Goulue (la golosa) poiché gli eccessi sono stati parte del suo inimitabile valore di intrattenitrice ma anche delle sue pene nella vita.
Era come un grande boato festoso, l’edace stella di una ragazza ascesa dal nulla, caratterizzata dalla risata gioiosa capace di farti rivoltare le gambe per aria come una sbronza al ritmo del can can. Un personaggio come il suo ha trovato come nemico il destino, e lo ha combattuto con una tenacia all’epoca giudicata da irresponsabile ma Louise, proprio nell’inseguire la sua passione per la fama, come poche altre donne e uomini possono dire, nella sua lotta ha trovato la libertà.
Anno 1928. Estate. Parigi. Rue des Entrepôts numero 59.
Una donna scende i pochi gradini trascinando i piedi, sta uscendo dalla sua piccola roulotte, ha le gambe gonfie, i sensi annebbiati, si è appesantita a causa dell’alcolismo. Non lavora da tempo, si mantiene raccogliendo stracci e vendendo oggetti usati al mercatino delle pulci di Saint-Ouen. Possiede ancora una casa, accanto al cabaret La Cigale di Montmartre, in boulevard Rochechouart, dove si trasferisce solo per passare l’inverno quando il Moulin Rouge è in piena attività e lei può tornare, nell’angolo della strada di fronte al famoso cabaret di can can, a vendere noccioline, sigarette e fiammiferi, accompagnata dai suoi cani e gatti randagi.
Qualcuno ancora la riconosce e le chiede di autografare delle fotografie di quarant’anni fa, o le cartoline con i ritratti che le fece Toulouse-Lautrec. Quelle attenzioni la fanno sentire di nuovo giovane, con le gambe leggere. Adesso si fa chiamare Madame Louise, quando inventò il can can era celebre con il soprannome la Goulue.
Una sera, la cantante e attrice Jeanne Aubert la chiama, insiste, la fa tornare sul palco per presentarla al nuovo pubblico del Moulin Rouge. Louise lassù si rende conto dei mutamenti del tempo, di come certe mode fossero passate, di come il mondo avesse voltato pagina. Gli occhi degli spettatori non le appartenevano più, persino le loro risate avevano un significato diverso. La verità, dentro di lei, la conosceva, pungeva come uno stiletto diretto al cuore: lei e il pubblico erano diventati distanti. Fino a poco prima credeva di poterli ancora ammaliare con la sua fama eterna, credeva fosse sufficiente pronunciare il suo nome per scaldare la platea e farla scoppiare in un eccesso di goliardia. Ora la vedeva benissimo quella maledetta distanza fra le sue idealizzazioni e la realtà e, anche se non aveva confini né consistenza, sentiva la distanza premerle sul petto come un peso effimero e desiderava solo annegare il senso di vuoto in una bottiglia di vino da pochi spiccioli.
Louise Joséphine Weber vide la luce a Clichy (un comune vicino alla città di Parigi), il 12 luglio 1866. Era figlia di Dagobert Weber, un falegname, e Madeleine Courtade, una lavandaia. Louise aveva due sorelle e un fratello.
Nel 1870 la famiglia fuggì dalla casa popolare di origine, verso Parigi, a causa dei bombardamenti della guerra franco-prussiana. La capitale francese, a quel tempo, si trovava sotto assedio (durò dal 19 settembre 1870 al 28 gennaio 1871) e il bestiame fu spostato nel centro della città al fine di poter razionare le derrate alimentati. Credevano di poter avere cibo sufficiente per ottanta giorni ma finirono le scorte a metà novembre, così decisero di ricorrere agli animali dello zoo pur di sfamare la popolazione, elefanti compresi. Il mese di gennaio fu il peggiore dell’assedio, cavalli e muli erano esauriti, i gatti non giravano più per strada (venivano chiamati ‘lepri dei tetti’) e i disperati, pur di sfamarsi, si diedero alla cattura di topi e ratti. Esisteva un mercato dove si potevano ancora comprare delle galline e del legname ma costavano parecchio, solo i ricchi potevano permetterseli. I popolani per scaldarsi, già sofferenti a causa degli stenti della fame, usarono ogni oggetto di legno trovato nelle case, gettarono nel fuoco persino i loro letti. Morino tre i tremila e i quattromila parigini, nei sopravvissuti l’inedia prolungata causò danni alla salute e psicologici, come la depressione.
A un mese esatto dalla fine della guerra franco-prussiana, la madre di Louise, stremata e avvilita nell’anima dalle privazioni, diede alla luce il piccolo Henri-Joseph. Il neonato morì dopo alcuni giorni e Madeleine smise di occuparsi di tutti i suoi figli. La resistenza e la tenacia, assieme alle brutalità dell’assedio, l’avevano svuotata.
Il padre, durante la guerra, rimase invalido, gli vennero amputate entrambe le gambe e perirà due anni dopo. Louise di conseguenza venne mandata in un istituto religioso, dove si occuparono della sua istruzione, e nel 1874 si trasferì dallo zio Georges in Saint-Ouen (vicino alla capitale).
Louise, a differenza della madre, di tenacia, di voglia di lottare, ne aveva ancora. A sedici anni fuggì a Parigi e alternò il mestiere di lavandaia a quello di ballerina nel locale Moulin de la Galette. Il nome del locale da ballo (raffigurato in un famoso dipinto di Renoir) deriva dalle galette bretonne, una sorta di crêpe con farina di grano saraceno, offerte come consumazione e comprese nel biglietto d’ingresso.
E cosa le accadde a Parigi?
To be continued…
Ah, ecco una curiosità su Louise:
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Bravissima!!!!!!
Scrittura perfetta