“Quando non mangia sa cosa dire dalla bocca. Quando mangia, la volgarità nella parola le si alterna al boccone che entra. Questa sua radiosa brutalità è il suo unico spirito.”
Octave Mirbeau (giornalista e critico d’arte del novecento)
Louise divenne la famosa La Goule (La Golosa) perché durante, oppure anche quando era in sala prima o dopo le esibizioni, allungava la mano dentro il piatto dei clienti per assaggiare i piatti migliori!
Questa è l’ultima parte della sua biografia (trovate la prima parte qui e la seconda parte qui). Louise era una ballerina di punta del Moulin Rouge assieme a Jane Avril (ne abbiamo raccontato qui: 1° parte e 2° parte).
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Valentin le Désossé
Il miglior ballerino, a cui si accompagnava, era Valentin le Désossé, soprannominato il disossato per via della sua estrema, ed elegante, flessibilità nei movimenti, e fu immortalato con Louise in molte opere di Toulouse-Lautrec. Si chiamava in realtà Edme-Étienne-Jules Renaudin e proveniva da una buona e facoltosa famiglia. Era alto, slanciato, indossava abiti eleganti con redingotte e cilindro neri. É tuttora riconoscibile nei quadri che lo raffigurano per il suo naso aquilino e il mento prominente.
I resoconti dei giornali d’epoca riportano il numero esatto delle sue apparizioni sul palco: 39.962 valzer, 27.220 quadriglie, 14.966 polche e mazurche, 1.000 lancers, in totale ben 83.112 esibizioni nel solo Moulin Rouge. Valentin non chiese mai un soldo in cambio, Louise sì, doveva mangiare.
La sua carriera era esplosa di colpo nel 1895. Tutta la gente parlava di Valentin, erano curiosi sul suo presente, sul suo passato, ma lui non disse mai nulla, era un tipo riservato e anche quando se ne andò, abbandonando il ballo, lo fece all’improvviso, senza una giustificazione, insomma lasciò il pubblico ficcanaso a bocca asciutta. Sparì inaspettatamente, senza un commento, per ritirarsi definitivamente dalla vita pubblica. Allora aveva cinquantadue anni. Di lui, di cosa gli accade poi, non si seppe più nulla.
Secondo la morale dell’epoca si doveva scegliere fra le professioni di prestigio e quelle di vanto, così Valentin scese di colpo dal suo sogno e ritornò in sordina verso l’agio da cui proveniva. Aveva dimostrato di poter conquistare un pezzo di libertà, e lo aveva fatto, irruente come uno schiaffo in pieno viso, anche nella sua scelta di tornare nell’anonimato, lontano dalle notti bohémienne, incurante delle aspettative dei curiosi.
Domatrice circense
Louise pure, nel frattempo, ne aveva fatta di strada! Dallo sbocconcellare nei piatti degli avventori, aveva alzato la testa e s’era mangiata direttamente gli avanzi della sua povertà cancellandola per sempre! Adesso era una donna celebrata, facoltosa, il cui successo era indissolubilmente legato al Moulin Rouge ma, sempre nel 1895, sull’onda della scelta di Valentin le Désossé, a ventinove anni, anche Louise lascerà il Moulin Rouge. Sottovalutò l’importanza dell’orchestra, della macchina organizzativa, che l’aveva resa un’icona. Era una donna nubile, tenace, convinta di potersi fare amare e seguire ovunque dal suo pubblico ma, soprattutto, era incinta. A dicembre dello stesso anno nascerà il suo unico figlio Simon, lo soprannominava Bouton d’or (bottone d’oro). A chi gli chiedeva l’identità del padre rispondeva: “Un Prince” (un principe).
Louise si unì ai nomadi circensi e per questo chiese a Toulouse-Lautrec di decorarle la roulotte, usata per le esibizioni itineranti, da ballerina orientale di danza del ventre. Dopo alcuni anni di stenti, dal punto di vista della carriera, imparò sul campo il mestiere di domatrice dei leoni.
Ecco una testimonianza del tempo. Il giornalista Georges Pioch si recò in visita alla baracca ambulante di La Goulue:
È passato tanto tempo da quella ragazza robusta e bella, con il volto leale e imperioso dell'istinto, che alzava imperturbabilmente la gamba di fronte alle grandi masse di stupidità umana che brulicavano intorno al Moulin-Rouge. La gente diceva: “È un'ex lavandaia”. E sembrava che volesse testimoniarlo quando, al volo, come con un battipanni, schiaffeggiò, senza rabbia e con sicura dignità, il compagno ordinario delle sue danze di nome Valentin e soprannominato Le Désossé. […]
Frustò la bestia come aveva schiaffeggiato l'uomo. La gente diceva: “Sapete, questa è La Goulue, l'ex ballerina del Moulin Rouge. Si è mangiata un sacco di fortune.” […]
E l'istinto che la combatte senza sconfiggerla, e che la libera senza educarla, l'ha accampata davanti alla folla come una dominatrice[…]
Ora, nella sua carne più pesante, ferocemente sana, dove la forza è visibile…
Attaccati dai leoni
Il 10 maggio 1900, in un municipio parigino, sposò il prestigiatore Joseph-Nicolas Droxler e anche lui divenne un domatore per affiancarla negli spettacoli. I loro testimoni di nozze appartenevano al mondo circense.
Era il 1907 quando accade loro un grave infortunio. Furono attaccati dagli animali durante un’esibizione (puma o leoni non si comprende bene la realtà dei fatti, i giornali dell’epoca riportano cronache diverse) e Droxler si ferì. Decisero di lasciare un mestiere così pericoloso.
Louise, ora, era senza un palcoscenico ma di certo non si arrese davanti al destino. La celebrità le apparteneva, credeva ancora nell’illusione del suo pubblico pronto ad acclamarla ovunque andasse e così trovò il modo di tornare in gioco, fu accettata solamente nei contesti delle scene minori di Parigi e si esibiva regolarmente al Théâtre des Bouffes du Nord (vicino alla Gare du Nord).
Louise ha sempre dimostrato di avere una tenacia come poche altre, una donna libera nell’anima, con una grande fame di sogni. Se ne fregava dei colpi inferti dal destino, in fondo da piccola aveva resistito alla perdita del fratellino, all’abbandono della madre malata di depressione, addirittura all’assedio della guerra franco-prussiana e alla conseguente morte, due anni dopo la fine del conflitto, del padre invalido di guerra.
L’alcolismo la indebolì, il vizio era probabilmente iniziato come una consolazione dalle fatiche quotidiane, esacerbato dai profondi disaccordi con il marito, e successivamente si era insinuato sotto la pelle, nelle vene, come un nemico silenzioso che costruiva trauma dopo trauma, settimane dopo settimane, il suo trionfo. La bottiglia rappresentava la sua scelta di lasciarsi spegnere, era una scusa da ripetere, in continuazione nella mente, contro le accuse di apatia ma celava un enorme bisogno di essere compresa, di dare un senso a quella tenacia grazie a cui aveva combattuto senza sosta contro il destino. Chi era Louise se non poteva identificarsi con La Goulue? Quale senso poteva avere andare avanti quando ti portavano via la terra da sotto ai piedi? Quali altri lutti potevano segnarla?
Nel 1915 ancora un orribile guerra che la privò di un altro suo caro, di Joseph-Nicolas Droxler. Fu dura per lei, nonostante fossero vicini al divorzio. Un anno prima, suo figlio Bouton d’or, nemmeno trentenne, venne a mancare lasciandole una nipotina di nome Marthe. Simon, Bouton d’or, era per lei essenziale, più del ballo.
Gli ultimi anni
Torniamo all’inizio. Estate. Parigi. Rue des Entrepôts numero 59, anno 1928.
Una donna cammina a fatica uscendo dalla sua piccola roulotte, ha le gambe gonfie, i sensi annebbiati, si è appesantita a causa dell’alcolismo. Si mantiene raccogliendo stracci e vendendo oggetti usati al mercatino della pulci di Saint-Ouen. Ha ancora una casa, accanto al cabaret La Cigale di Montmartre, in boulevard Rochechouart, dove si trasferisce per passare l’inverno, così può tornare nell’angolo della strada di fronte al Moulin Rouge a vendere noccioline, sigarette, fiammiferi, accompagnata dai sui cani e gatti randagi. Qualcuno la riconosce ancora, così lei autografa le sue foto di quarant’anni fa, o le cartoline con i ritratti che le fece Toulouse-Lautrec, quelle attenzioni la fanno sentire di nuovo giovane, con le gambe leggere. Adesso si fa chiamare Madame Louise, quando inventò il can can era famosa come la Goulue.
E quando il destino le fece perdere anche il soprannome di Madame Louise, di forza per cercare di campare un po’ ne aveva ancora, nonostante i gonfiori, la memoria appannata e la dipendenza dal vino da pochi spiccioli. Rubarle prima il palcoscenico, e poi il figlio, erano stati i colpi fatali, come era accaduto a sua madre si lasciò andare e divenne un fantasma. Louise rincorreva sé stessa ma senza trovare un senso, le mancava un perno su cui appoggiarsi e fare leva con la sua incredibile tenacia.
Louise se ne andò dopo dieci giorni di agonia, presso l’ospedale pubblico di Lariboisière, a causa di un ictus. Era il 29 gennaio 1929 e lei era riuscita a strappare il suo ultimo anno di vita al destino.
Il vizio non le tolse mai dal viso quel mezzo sorriso di chi la sa più lunga dell’affanno e della morte. Quella forza ammaliò Toulouse-Lautrec e così Louise è oggi ancora celebre, grazie ai ritratti, in tutto il mondo. Quando la osserverete nelle tele, cercate di essere discreti, altrimenti con il fruscio della sua gonna vi farà volare via il cappello…
“Fu La Goulue a ispire Lautrec!”
Arletty (attrice)
Alcune frasi di Henry Toulouse-Lautrec:
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Curiosità:
Nelle illustrazioni di Toulouse-Lautrec: La Goulue con Valentin le Désossé (la prima dell’articolo), Louise Weber con la sorella (la seconda), ritratto di donna probabilmente di Louise (la penultima).
1928, documentario La Zone di Georges Lacombe. Il regista filma Louise Weber poco prima della sua morte, come soleva abbigliarsi tutti i giorni, davanti alla roulotte. Era già malata.
Il famoso giardino nella celebre butte di Montmartre porta, da febbraio 2021, il nome di Louise-Weber, detto il giardino La Goulue. Creato nel 1985, è disposto su terrazze. Dal giardino è visibile la parte posteriore del Bateau-Lavoir, simbolo bohemienne, dove in passato hanno soggiornato grandi artisti come Picasso.
Bravissima!!!!!!
Grazie Giò, per aver messo la luce su una donna conosciuta da tutti ( grazie a Toulouse-Lautrec) e allo stesso tempo sconosciuta da tutti.
Affascinante!