Ben tornati. La prima parte dell’articolo la trovate cliccando qui: l'arte degenere di Alphonse Laurencic
Al prossimo sabato con il finale.
Le celle psicotecniche
Sotterranee e allucinanti. L’unica, scarsa, luce esterna filtrava attraverso dei vetri verdi di piccole dimensioni, voluti espressamente da Laurencic:
"Per produrre nel detenuto l'effetto di una giornata triste, piovosa e senza speranza."
Di notte i prigionieri erano costretti a sopportare l’illuminazione di una costante luce rossa e, con un sistema meccanico, gli aguzzini riproducevano continui rumori striduli all’interno della cella, inoltre proiettavano delle ombre astratte sui muri. Fieramente Laurencic li aveva soprannominati: effetti psicotecnici.
Ogni giorno un orologio segnava lo scorrere di quattro o cinque ore, non di più, poi si fermava disorientando completamente le vittime.
Le celle misuravano 2,5 mt di lunghezza per 1,80 mt di larghezza. Avevano soffitti neri, pareti grigie decorate con strisce gialle verticali, orizzontali o diagonali (foto sopra), oppure il disegno di una scacchiera bianca e nera o ancora dei cerchi colorati. Tutto era stato studiato per irritare i nervi. I detenuti rimanevano particolarmente suggestionati dagli elementi riprodotti sulla parte interna della porta: una spirale nella parte bassa, un disegno con dei dadi in quella alta.
Il letto era inclinato di venti gradi verso il basso, e rivestito di cemento poroso, così da impedire il riposo. Sul pavimento erano stati incastrati, in verticale, tanti mattoni, non c’era altra ragione logica se non quella di impedire ogni passeggiata.
L’altra cella: il frigorifero
Strettissime e quadrate, con un serbatoio opportunamente sistemato nella parte alta della cella che manteneva costantemente bagnati i muri porosi.
Li rinchiudevano nel frigorifero e al buio per ore, costretti ad ascoltare il solo rumore di un apparecchio a corda simile a un pendolo. Uno stridulo acuto e penetrante, senza sosta, con una cadenza ben definita. Laurencic, da musicista, lo aveva denominato: il metronomo.
Se desideri supportare il mio lavoro:
La Campana per i resilienti
Cosa accadeva ai prigionieri dal corpo e dalla mente forti?
La loro resistenza poteva essere disintegrata dalla cella la “campana”.
Un cilindro di 4,5 metri, con nessuna modalità di ventilazione attiva, e completamente dipinto di nero. Le pareti interne rivestite di catrame, doppie per aumentare la risonanza interna.
Un potente proiettore, in alto sul soffitto, inondava la stanza di caldo e di riflessi di luce per via del catrame che, con il suo odore, pungeva le narici fino alla nausea. La lampada del proiettore era protetta da un’armatura metallica, rendendo impossibile ogni sabotaggio salvifico. Soffocavano, ogni respiro gli sembrava irripetibile. Il cervello poteva impazzire per la pressione della tortura senza nessuna via di scampo.
A un certo punto, i carcerieri innescavano anche il movimento di un rullo, sul soffitto della campana, e mettevano in moto dei dischi metallici così un rombo enorme, fagocitante, risuonava per tutte le pareti amplificato fino all’infinito…
Le condizioni di prigionia
I detenuti mangiavano, due volte al giorno, un pezzo di pane scuro con del brodo e pochi legumi. Gli veniva dato un solo bicchiere d’acqua in ventiquattrore. Mantenevano gli abiti con cui erano entrati in prigionia e venivano condotti, per poter fare i loro bisogni, nel cortile poche volte al giorno, per il resto erano costretti a usare il pavimento della cella come latrina. Lo sporco e la malnutrizione causavano morti per epidemie di avitaminosi, foruncolosi, molto frequente era la scabbia.
Chi era Alphonse Laurencic (3° parte)
E la 1° parte su Laurencic: