Chi era Alphonse Laurencic?
Nato in Francia nel 1902, a Enghien-les-Bains. Nazionalità: jugoslava.
Prima della Guerra Civile spagnola: disegnatore, decoratore, musicista. Dopo: collaboratore e spia del SIM (servizio di informazione militare). Costruì le celle psicotecniche a Barcellona.
In calce i link ai due articoli precedenti.
Le origini
Era figlio di una coppia benestante, raffinata e cosmopolita, di origine austro-ungarica. Suo padre Jules fu uno stimato editore e giornalista. Fondò la rivista Revue Internationale, viaggiava spesso per lavoro fra l’Europa e gli Stati Uniti. Allo scoppio della Prima Guerra, la famiglia che allora viveva in Francia, si trasferì in Spagna. Alphonse aveva dodici anni.
Il padre proseguì la sua carriera con una nuova pubblicazione: Las maravillas de España. Nel 1918, quando vivevano a Barcellona, fu nominato, dal Re Alfonso XIII, Cavaliere dell'Ordine di Isabella la Cattolica.
Pugile, soldato, musicista e permaloso
Il fratello minore di Alphonse si chiamava Eugenio ed era appassionato di sci, Alphonse invece di pugilato. Nel 1920, a diciotto anni, si spinse a sfidare Blind (pseudonimo di Emilio Gil), divenuto successivamente campione di Spagna nei pesi leggeri. E l’anno seguente, contro il parere dei genitori, si arruolò nella Legione Straniera ma il padre, grazie alle sue conoscenze, lo riportò subito a casa.
Risentito e offeso, Alphonse scappò a Graz, in Austria, a casa di un parente, era il 1922. Fece ritorno a Barcellona nel 1923, appena avuta la notizia della morte del padre gravemente malato, ma fuggì via, inquieto, solo qualche mese dopo. Andò a Zagabria ed entrò nella divisione di fanteria dell’esercito reale Jugoslavo, dove rimase per otto mesi.
Tornato a Graz, lì incontrò la sua futura moglie Maria Luisa Preschern e, una volta sposati, iniziarono una nuova esitenza a Berlino, fulcro delle avanguardie artistiche durante la fine degli anni venti.
Alphonse nei documenti dichiarava di parlare sette lingue e di mantenersi come musicista jazz nelle sale da ballo. In ogni caso la sua buona istruzione lo fece entrare negli ambienti della Bauhaus, grazie a cui trovò un ulteriore lavoro come decoratore di interni. Aveva necessità di dimostrare la sua grandezza, era spregiudicato, incline a lasciare da parte gli scrupoli morali.
L’ascesa di Hitler al potere, nel 1933, lo costrinse a ricongiungersi alla famiglia rimasta a Barcellona. Il nazismo considerava degenere e comunista il movimento Bauhaus, fremdländisch (aliena) e da estirpare la musica jazz.
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Prima del colpo di stato a Barcellona
Los 16 artistas reunidos era il nome del suo gruppo da ballo jazz, di cui era direttore d’orchestra, promotore e manager. Riuscivano a esibirsi nei locali più esclusivi della città. La stampa li lodava e, nel 1935, furono ingaggiati per un tour europeo. L’aristocratico locale Dancing Oshima addirittura lo nominò Direttore Artistico della sua orchestra.
Alphonse aveva ottenuto riconoscimenti, agio economico (acquistò un appartamento elegante vicino a quello della madre e un’auto esclusiva) ma, il 19 luglio 1936, le condizioni politiche e sociali misero a rischio le sue ricchezze. Era iniziata, con un colpo di stato, la Guerra Civile.
Gli spettacoli furono sospesi, le sale da ballo collettivizzate. Alphonse poteva cadere in miseria, perdere il prestigio e dover lavorare come operaio. Era inaccettabile per lui.
Quando gli confiscarono l’auto si presentò, di sua spontanea volontà, alla Prefettura della Repubblica per offrire i suoi servigi.
Lo assunsero come interprete ufficiale e per lucrare, non appena sospesero l’Olimpiade Popolare, si mise a commerciare documenti falsi agli stranieri in fuga dalla Spagna. Continuò a smerciare passaporti illegali anche quando ricevette l’incaricato come agente di controspionaggio (S.S.I. n. 29), applicava dei prezzi elevatissimi.
Il SIM lo arrestò nel 1937. Alphonse conobbe le prigioni, compresa Vallmajor, e i campi di lavoro. Nel 1938, proprio a Vallmajor, riuscì a distinguersi progettando le celle psicotecniche: prigioni bestiali, create da una mente maniacale, da un fanatico della tortura.
"Quel vecchio gentile e sorridente, Francisco Morera, tornò da un interrogatorio pieno di sangue che gli sgorgava perfino dalle orecchie e, dopo alcune ore in cui rimase immobile, disteso a terra, si impiccò da un rubinetto a settanta centimetri dal pavimento, con la sua cintura.”
Un testimone sulle celle psicotecniche
La sua attività criminale andò avanti fra arresti, e forme di semi libertà vigilata, fino alla cattura definitiva da parte dei fascisti italiani che lo consegnarono ai tedeschi.
Era il mese di giugno 1939, lo processarono a Barcellona, accusandolo di sevizie e crudeltà.
Alphonse, all’inizio del processo, si mostrava sicuro di se: seduto composto, lo sguardo spregiudicato di chi confida nell’intraprendenza da manipolatore. Aveva sempre usato le bugie come un’arma, e aveva parecchia fantasia.
Riuscì a ottenere, in aula, il tempo di un’ora e mezzo di confessione in sua difesa. Chi lo ascoltò notò esclusivamente contraddizioni, confusione, la sua colpevolezza era nitida. L’astuzia di Alphonse non trovò opportunità a cui aggrapparsi.
Aveva 37 anni, sposato, senza figli quando, il 9 luglio 1939, fu portato davanti al plotone di esecuzione per la fucilazione. Alphonse, con orgoglio, dimostrò di non essere pentito e chiese di evitare di indossare la benda sugli occhi. Prima di morire urlò:
"Viva il Generalissimo Franco!"
E chiuse facendo il saluto fascista.
Qualche mese prima il suo narcisismo si era espresso in una lettera per la moglie:
“Meri, lontano dagli occhi… Lontano dal cuore... L'eccezione sono io... Alfonso, prigioniero modello, 17 maggio 1939.”
Epilogo
Sua moglie, Maria Luisa Preschern, fu rilasciata dalla prigione nel febbraio 1940. Rimase nubile e visse con la madre di suo marito per il resto dei giorni. Si mantenne lavorando presso una famiglia benestante di Barcellona, loro l’aiutarono a ottenere una pensione vitalizia dal governo tedesco.
Quanto mi piacciono queste storie e che bello che qualcuno le racconti. Grazie
storia davvero raccapricciante, ma brava tu a trovarla e saperla raccontare!