Quando accadde?
1936, Spagna, durante la Guerra Civile fra le forze nazionaliste, del golpe militare, e quelle della Repubblica Spagnola del Fronte Popolare.
A Barcellona le autorità della Repubblica costruirono delle celle di detenzione (le checas) ispirate a quelle esistenti in URSS. Nelle russe utilizzarono le cantine comuni come celle di tortura mentre quelle esaminate nell’articolo sono state ricavate, da Laurencic, nello spazio dell’ex convento di Vallmajor.
Secondo César Alcalá (dal libro: Chekas. Las prisiones Republicanas), in 46 prigioni sono stati uccisi 8.352 prigionieri politici (2.039 religiosi, 1.199 carlisti e altrettanti non identificati).
Le strutture esaminate qui, vennero progettate da Alphonse Laurencic su commissione del Fronte Popolare e di Santiago Garcés, responsabile del SIM (servizio di informazione militare).
L’arte usata come tortura nelle prigioni del Fronte Popolare di Barcellona
Celle di detenzione, costruite in maniera da essere orientate verso sud, calde come gli inferi e strette da perdere il fiato! Talmente basse da non riuscire a stare con il collo dritto, con vetri verdastri color malinconia, muri curvi come budella, letti inclinati, di venti gradi, così da scivolare a terra e svegliarsi con un tonfo a ogni colpo di sonno.
Nei pavimenti erano state abilmente murate, in senso verticale, delle mattonelle per rendere impossibile camminare in linea retta. Alle pareti c’erano dei decori ispirati ai colori sgargianti della Bauhaus. I prigionieri politici erano costretti a fissare, perennemente svegli, i motivi geometrici e l’accensione di luci lampeggianti ampliava l’angoscia del loro disagio, avvertivano costanti vertigini e la morsa del destino di una morte assurda. Un vero imbuto di pazzia per il senso dell’orientamento.
Nell’ottobre del 1940, Heinrich Himmler, durante la sua visita a Barcellona, si fermò a Vallmajor e rimase colpito dalle torture ideate da Laurencic.
Ispirazione
Laurencic si ispirò al movimento Bauhaus (il cui obiettivo era migliorare le condizioni di vita comunitarie) e a pittori astratti come: Vasilij Kandinskij con la sua teoria dei colori, Paul Klee e Kazimir Malevich.
“Il colore è un mezzo per esercitare sull’anima un’influenza diretta. Il colore è la tastiera, gli occhi sono il martelletto, l’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che suona, toccando un tasto o l’altro, per provocare vibrazioni nell’anima.”
Vasilij Kandinskij
Laurencic prenderà spunto dalle loro opere per generare uno strumento di tortura, allontanandosi in tal modo dal pensiero, dagli obiettivi e dall’anima, delle sue fonti.
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La Verbena
Più che delle celle armadio, ricordano delle bare: larghe 50 cm e profonde 40 cm (nell’immagine sopra il disegno del progetto di Laurencic).
Aveva creato un sistema tale da impedire al prigioniero qualsiasi conforto: con il soffitto regolabile (grazie a una tavola di legno mobile) per fare in modo di far tenere alla vittima la testa reclinata in avanti e il corpo semi rannicchiato, con una falsa seduta costituita da un asse sporgente, reclinato di 13 cm, che impediva qualsiasi appoggio, infine con un pavimento impossible, concavo, dove non si potevano appoggiare i piedi.
Quando veniva chiusa la porta, una tavola di legno veniva infilata fra le gambe del malcapitato impedendogli i movimenti. Nella parte alta delle bare c’erano due minuscole finestre, situate all’altezza degli occhi, in una era posizionata una lampadina accecante che era anche una grossa fonte di calore. Un potente campanello elettrico riproduceva un suono costante, ansioso, proprio accanto alla testa della vittima.
La parola verbena, in spagnolo, significa sagra. Si tratta di feste popolari tipiche della nazione, sovente legate ai Santi Patroni. Come mai questo nome? Perché chi professava la propria fede religiosa era considerato un nemico politico da rinchiudere. La presa in giro era un altro degli affronti di un degenerato.
Il Cortile delle fucilazioni
I prigionieri, entrati nel cortile, vedevano immediatamente, accanto a un muro, una grande fossa. Più volte, durante la detenzione, erano spinti sull’orlo di quella tomba. Le guardie tenevano i fucili spianati contro di loro che potevano solo attendere la morte. Il panico cresceva a ogni falsa esecuzione. L’intento era di farli vivere in uno stato di paura incessante e senza ritorno.
Nell’altra estremità del cortile c’era un pozzo profondo e stretto. Gli abusi venivano perpetrati usando una puleggia. Il malcapitato veniva appeso, di solito per i piedi ma a volte per le braccia, e immerso con la testa nell’acqua così non poteva respirare. Accadeva più e più volte, nella stessa giornata o a distanza di tempo, e il condannato si chiedeva se sarebbe stato graziato o meno prima di perdere totalmente le forze e smettere di riuscire a lottare.
Ecco la seconda parte dell’articolo:
qualcosa ho letto di quegli anni, ma non avevo mai saputo questa storia.
Terrificante davvero.
Ma grazie, ho imparato qualcosa di importante!