Vi parlerò di due argomenti distinti: dell’esperienza di Freud durante il suo viaggio a Bologna e di come si salvò dallo sterminio nazista.
I fatti sono volutamente romanzati ma gli accadimenti della Seconda Guerra corrispondono al vero.
Trovi altri articoli simili, su The Raven Cat, qui: storie brevi o qui feuilleton. Questa newsletter farà parte di un ciclo di puntate sulla Certosa di Bologna.
Buona lettura…
Premessa
Il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, visitò Bologna durante il suo Grand Tour del 1895 (un viaggio alla moda, lungo l’Europa, nell’aristocrazia del XVIII secolo che poteva durare anche anni), e si soffermò presso il Cimitero Monumentale della Certosa, un vero e proprio museo a cielo aperto.
Nell’ottocento questi cimiteri monumentali erano luoghi dove passare il tempo libero. Intellettuali, poeti, artisti, vi componevano musica o liriche e, ogni domenica, le famiglie vi andavano a passeggio per ammirare i nuovi monumenti, o criticarli, e incontravano amici, parenti, insomma potevano spettegolare!
C’era sicuramente un rapporto diverso con l’universo della morte e il suo significato rispetto al mondo odierno.
Una cartolina dalla Certosa
Leggiamo una delle tante cartoline scritte da Freud, per la moglie, durante la sua visita in Certosa:
“Le molte belle cose che si sono viste portano di certo, prima o poi, non si sa quali frutti.”
Andiamo indietro nel tempo, immaginiamo di essere nel 1896, seduti a un tavolino, in un locale a Vienna: davanti a noi un alto boccale pieno fino all’orlo, tutto intorno a noi l’odore di sigaro, le risate della gente, il chiasso. Nel mezzo della sala, davanti ai nostri occhi, c’è un cartello, una scritta nera fatta a mano: “Bitte schließen Sie Ihre Augen.” (Si prega di chiudere gli occhi).
Siamo nello stesso locale dove si trova Freud. Anche lui è seduto a un tavolino quando all’improvviso si alza, forse per andare alla cassa, e vede il cartello: Si prega di chiudere gli occhi.
Vi ho appena raccontato il sogno di un uomo che ha perso il padre. Freud, poche ore prima, aveva appena sepolto suo padre Jacob e, mentre dormiva, la mente voleva mandargli un messaggio: stai chiudendo gli occhi. La tua sofferenza ti rende cieco di fronte ai sensi di colpa. Anche questo sogno contribuì al percorso di Freud verso la scoperta dell’inconscio.
Freud visitò la Certosa circa un anno prima della morte di Jacob, quando suo padre era già malato, e qui trovò le molte cose belle in grado di farlo andare avanti per superare il lutto.
Nel suo studio viennese Freud conservava due foto acquistate in Certosa: una del monumento di Clementina Lanzi Bersani, scolpita mentre allatta un bambino. Opera di Monari.
L’altra foto con il monumento Minghetti, opera di Rivalta. L’altorilievo di Rivalta è particolare: due bambini salutano il loro fratellino scomparso e, se osserviamo bene la tomba, è come se stessimo esplorando un colloquio muto. L’opera infatti è molto realistica: le pieghe degli abiti dei bimbi sembrano fatte di stoffa vera, mica di marmo, sono come stoffa morbida da toccare con le dita (entrambe le tombe, raffigurate nelle cartoline comprate da Freud, le potete visitare nella Galleria degli Angeli della Certosa di Bologna).
Qual è il potere delle cose belle?
“Le molte belle cose che si sono viste portano di certo, prima o poi, non si sa quali frutti”.
Freud, alla moglie, in una cartolina spedita da Bologna
Il potere delle cose belle è immenso, possono anche salvarti dal mostro del secolo: lo sterminio nazista.
“Estirpiamo la nuova scienza giudaica!”, gridava Goebbels, il ministro della propaganda, contro la psicanalisi!
E l’assassino Himmler, poi, eseguiva i fatti.
Himmler incaricò l’ufficiale Anton Sauerwald, nella Vienna del 1938, di liquidare la Società psicoanalitica e sequestrare ogni bene della famiglia Freud. I nazisti consideravano ogni fortuna ebrea come acquisita illecitamente. Per la burocrazia nazista anche la morte era un affare di contabilità: Sauerwald doveva prima leggere tutte le carte di Freud, poi catalogarle una a una, infine distruggerle. Al posto dei documenti sulla scoperta della psicoanalisi sarebbe rimasta solo una banale lista, un catalogo di sostantivi, inutile quanto un indice appartenuto a un libro ormai bruciato.
Gli assassini però non fecero i conti con le molte cose belle. Sauerwald più passava il tempo a leggere e catalogare, più ammirava Freud.
Si era appena arruolato fra i nazisti, dopo la laurea in medicina e, all’università viennese, era stato allievo di un docente molto legato alla figura del padre della psicoanalisi. Sauerwald decise allora che valeva la pena rischiare la vita e nascose le carte originali, degli studi di Freud, nei sotterranei della biblioteca nazionale austriaca.
Per salvare un uomo, e tutta la sua famiglia, occorrevano: del denaro, dei biglietti del treno, dei visti d’espatrio e magari qualche appoggio influente. Sauerwald trovò l’appoggio della Principessa Marie Bonaparte e dell’ambasciatore americano, in Francia, Bullit (ex paziente di Freud), nonché intimo amico di Roosevelt.
Sauerwald fece il doppio gioco, per molto tempo. Compilava la lista nera per Himmler e, appena poteva, trasferiva di nascosto all’estero il denaro della famiglia Freud. Riuscì a far salire l’intera famiglia del medico sull’Orient Express diretto a Londra. Li ha salvati. Tutti.
Dovete sapere che Sauerwald, quando la Germania fu sconfitta, venne catturato da un ufficiale americano: era Harry, il nipote di Freud! Anna Freud scrisse al tribunale, pronto a incriminare Sauerwald:
“Gli dobbiamo la vita e la libertà.”
Pure per Anton Sauerwald vale la frase: “Le molte belle cose che si sono viste portano di certo, prima o poi, non si sa quali frutti.”.
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grazie gio per averla scritta, bravissima
Che bella storia! Grazie x condividerla.