“Sono assolutamente convinto che un dipinto ha il miglior risultato, in termini cromatici, se ci sono meno colori.” Hammershøi
Nelle opere di Vilhelm Hammershøi (Copenaghen, 1864 – 1916) il silenzio può essere associato all’incomunicabilità, alla lontananza, all’isolamento. Osservandole veniamo introiettati in un universo di distanze.
Nel dipinto Doppio ritratto dell’artista e della moglie visti attraverso uno specchio, la poesia arriva assieme ai toni bruni e grigi del quadro e a uno sfuggente senso d’impotenza. Il marito e la consorte, uno di spalle all’altra, grazie all’uso di uno specchio, divengono due inverni senza parole. Siamo così spettatori dell’esistenza dei segreti, dei drammi, delle attese disattese, delle attese impossibili da esprimere. Sappiamo anche dove risiede la bellezza del compiacimento: nel senso di colpa del tacere ciò che non potrà essere mai veramente compreso. I simboli soggettivi, quelli dell’inconscio contenuti nel linguaggio, allontanano la coppia dalla piena comprensione, e una crepa si insinua fra due apparenti vicinanze.
“Il linguaggio, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno.” Jacques Lacan
Marito e moglie, ritratti attraverso l’uso di uno specchio, uno di spalle all’altra, divengono due inverni senza parole.
Ecco allora il tema del silenzio incedere, con un passo intimista, nelle stanze domestiche spoglie, minimali. L’ordine castigato della casa è sovrastato da un senso di fragilità. L’inafferrabile è immanente come una pioggia invisibile, estremamente fine, penetrante. Abbiamo la sensazione che stia per accadere un dramma, eppure è solo un’altra azione quotidiana, già, come tutti i giorni la cameriera spazza il pavimento. E quella testa inclinata ci racconta anche la nostra di solitudine, incisa nel tempo che sfugge dalle nostre mani.

L’inafferrabile è immanente come una pioggia invisibile, estremamente fine, penetrante.
“Quello che mi fa scegliere un soggetto sono spesso le sue linee, quel che io chiamo il carattere architettonico del quadro. E poi, naturalmente, la luce. Ma sono le linee la cosa che amo di più.” Hammershøi
L’artista aggiungeva o rimuoveva il mobilio, dentro la stanza, al fine di allestire una scenografia perfetta. Toglieva dalla tela quegli elementi reali impossibili da spostare dalla zona che voleva dipingere, come le maniglie delle porte (inesistenti nelle sue tele).
“Non mi piacerebbe fare il ritrattista; non mi interessa che sconosciuti vengano a trovarmi e mi commissionino il loro ritratto. Per dipingerli, servirebbe che li conoscessi bene.” Hammershøi
Hammershøi ritrae esclusivamente le persone provenienti da una cerchia ristretta, fraterna, di conoscenze e l’incomunicabilità rimane il suo tratto artistico dominante.
Immortala la moglie di spalle ma mantiene una distanza ridotta fra noi, spettatori, e la donna. Ci basterebbe allungare la mano per afferrarle la spalla inclinata verso il basso. Di nuovo l’impotenza della comunicazione si imprime e ogni dramma umano implode incompreso. La bellezza sta nel guardare un ritratto così intimo, quotidiano, senza epoca, capace di raffigurare l’inaccessibile. Quel che ci sfugge della moglie di Hammershøi, è ciò che anche a noi sfugge del prossimo più vicino: il pittore riesce a rappresentare la nostra intensità più privata.
Si tratta di un’artista capace di raccontarci le parole che non possiamo condividere, e lo fa usando gli spazi domestici dove siamo abituati a incontrarci nel quotidiano.
Ci sono i quadri con vasti paesaggi naturali e c’è Hammershøi, lui con i suoi panorami casalinghi, dove la vastità è un’ampia introspezione dell’anima.
“Hammershøi è uno di quelli di cui non si deve parlare troppo precipitosamente. Il suo lavoro si inscrive nella distanza e nella lentezza; quale che sia il momento in cui lo cogliamo, esso offre materia di riflessione su ciò che di importante e di essenziale vi è nell’arte”
Rainer Maria Rilke, 1904
Una curiosità
Il regista cinematografico Carl Theodor Dreyer (Copenaghen, 1889 – 1968) si ispirò, per le sue inquadrature, agli ambienti dei dipinti di Hammershøi. Il film Gertrud (1964) ne è un esempio.
l'avevo già detto che mi sarebbe piaciuto molto andare a vederla...?
grazie!
(e grazie anche per la menzione)
Interessante. Ne stanno parlando molti di questa mostra.