La Zona di Interesse
Il film sulla vita della famiglia Rudolf Höss, della moglie Hedwig e dei loro figli, nella villetta adiacente al lager di Auschwitz.
Dovevamo imparare noi stessi e, inoltre, dovevamo insegnare agli uomini disperati che non importava cosa ci aspettavamo dalla vita, ma piuttosto cosa la vita si aspettava da noi.
Questo post è dedicato a mio nonno. Mi ha insegnato come il valore della Memoria possa essere importante anche nella quotidianità, a essere una persona leale, migliore. Ci sto provando e non smetterò. Mi parlava spesso della Liberazione e delle sofferenze della Shoah, desiderava trasmettermi il valore del rispetto che risiede nei fatti e nelle azioni, prima che nelle parole (a volte vane).
Buona lettura
Il film sulla vita della famiglia Rudolf Höss, della moglie Hedwig Hensel e dei loro cinque figli, nella villetta adiacente al lager di Auschwitz. Senza spoiler.
Regia di Johathan Glazer, con Christian Friedel e Sandra Hüller. Anno 2023. QUI i premi vinti e le nomination del film.
Vi propongo di usare tre chiavi lettura: distanza, fanatismo e il senso dell’udito.
DISTANZA
L’impressione, nel La Zona di Interesse, è quella di assistere a un documentario. La telecamera ci restituisce un senso di lontananza, lo fa riprendendo momenti della vita casalinga della famiglia Höss con stralci di dialoghi quotidiani, a volte banali. Ascoltiamo parole ordinarie (l’intimità serale fra la coppia, i giochi dei bambini, le direttive su cosa mangiare a pranzo) inserite in un contesto paradisiaco: una bella casa, spaziosa, con un giardino ampio e rigoglioso, con diverse specie di fiori, non manca la piscina munita di scivolo.
I preziosi dettagli della dimora sono opera della gestione instancabile, scrupolosa, di Hedwig (Sandra Hüller), mentre al marito Rudolf (Christian Friedel) spetta andare al lavoro nel lager, per organizzare la fabbrica di morte Auschwitz, ed è così bravo da meritare gli onori delle alte cariche naziste.
Noi spettatori non vediamo mai l’interno del campo di concentramento. Un muro alto con filo spinato, attaccato alla villa di famiglia, separa l’esistenza giornaliera degli Höss dall’orrore del lager.
Le riprese degli ambienti, chiusi o all’aperto, sembrano dei quadri: come delle pennellate impressioniste quando la famiglia si reca in gita al fiume, come dei dipinti di interni fiamminghi sono invece i fermi immagine sulle stanze della villa, tutte confortevoli e dai colori delicati.
Insomma un mondo in antitesi con la realtà oltre il muro ma, quando scende la notte, la malvagità straripa e il cielo sopra la villa ci restituisce, con la deformità del fuoco delle ciminiere dei forni crematori e con il volo della cenere nel cielo, l’opera del male come in un dipinto dell’espressionismo tedesco.
FANATISMO
Lo troviamo nell’incedere dell’egoismo di Hedwig negli ordini a voce alta impartiti alle cameriere (alla crudeltà bastano poche parole secche per ferire), nelle sue pretese di compagna verso il marito (lei vuole possedere solo oggetti di gran lusso), nel suo ostinarsi a ignorare cosa accade oltre il muro accanto a casa.
L’importante per lei è avere, godersi il suo giardino da aristocratica, ostentare opulenza, tanto da arrivare a ignorare la paura della sua stessa madre, e la conseguente fuga di quest’ultima da casa Höss perché spaventata dalle grida notturne dei prigionieri, dalle esalazioni nell’aria e dal rossore sparato nell’orizzonte dalle fiamme dei camini crematori.
Höss, anche lui, è un fanatico, ossessionato dal lavoro, dal partito. Dedito a generare altissimi numeri di morte, con scrupolo e intelligenza, per ridurre così le vite degli ebrei a un mero indice di produttività.
Persegue il suo obiettivo come fosse una missione da portare a termine sacrificando sonno e, ore su ore, di calore famigliare, come un grande manager direttivo. Esegue e impartisce gli ordini senza pietà ma, alla sera, prima di addormentarsi, lo vediamo crogiolarsi in pensieri ambigui, nel peso delle responsabilità che, anno dopo anno, si stratificano nel suo corpo e lo corrodono dall’interno come velenosi acidi gastrici.
Eppure lui rifugge l’evidenza, lo ha fatto fin dal principio, fin dalla prima vittima. Ammettere il male vorrebbe dire caricarsi di una moltitudine di reati insopportabile, troppo grande per un singolo essere umano, nessuna mente può sopravvivere all’elaborazione di una vastità così nera, senza altro scopo se non quello di aver goduto della volontà di sedersi, come un usurpatore del Diavolo, sul trono dell’inferno della storia.
IL SENSO DELL’UDITO
Quando la famiglia Höss è immersa nella natura del fiume, distante da casa, il cinguettio degli uccelli e altri rumori idilliaci, dominano l’audio del film: è la pace dell’ignoranza, della lontananza dal cuore.
Quando gli Höss tornano alla villa, il cinguettio si fa via via più flebile, per ascoltarlo occorre maggiore concentrazione perché irrompono le urla del lager, il rumore degli spari, la litania inquietante di una catena di montaggio fatta di camere di gassazione e forni crematori.
Questo film agisce sui sensi. I bambini sono da sempre ricettivi, soprattutto ai segreti, e anche i figli degli Höss non sono da meno. Finiranno per portare, nei loro giochi infantili, la violenza di quelle grida per esorcizzarne la carica emotiva negativa, per scrollarsi di dosso il peccato (che illusione!) e per assolvere i genitori. Così anche loro diventeranno parte del processo della banalità del male.
Questo è il punto, per me, di maggiore sofferenza del film: attraverso i giochi dei bambini, il grande crimine è ridotto a un rumore di sottofondo da bullizzare.
CONCLUSIONE
Due mondi divisi fra loro e due muri, uno alto con il filo spinato acuminato e l’altro costruito attraverso il mezzo della parete generata dall’effetto sonoro. All’interno di quelle sfere, in apparente antitesi, c’è il dolore delle vittime e la malvagità, la morte e la natura rigogliosa, il lager e la vita quotidiana famigliare. Il male nascosto sotto al tappeto è troppo, nessuno riesce a contenerlo, fuoriesce dal cielo come polvere di ossa nere, inquina i fiumi e l’aria, sporca gli abiti bianchi della domenica, fino ad arrivare a corrodere la salute dell’uomo moderno.
Höss sarà impiccato nel 1947, a seguito di una condanna, mentre la moglie Hedwig morirà di morte naturale, impunita, nel 1989. La chiamavano la Regina di Auschwitz e a lei quel nomignolo piaceva.
La prossima settimana proseguiremo con la storia di Mistinguett.
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non l'ho (ancora) visto
lo temo, in un certo senso
comunque i tuoi spunti di riflessione sono molto interessanti
e la citazione di Frankl molto centrata
🙏🏻